Secondo la classificazione climatica ideata da Wladimir Peter Köppen, climatologo di origini russe, ma vissuto prevalentemente in Germania, il territorio del Senegal presenta tre climi diversi: deserto a Nord; un clima semiarido al Centro, mentre a Sud imperversa quello tipico della savana. Se consideriamo, inoltre, che il punto più alto del paese raggiunge a stento i 581 metri sul livello del mare, è inutile dire che la neve, da quelle parti, se la possono scordare. Il meteo avverso, tuttavia, non ha mai scoraggiato Lamine Guèye, figlio di un noto politico locale, che nel 1979 decide di dar vita alla Federazione senegalese di sci e nel 1984, contro ogni previsione, partecipa ai Giochi Olimpici invernali di Sarajevo. Nelle sole due gare disputate, l’atleta senegalese non supera la 51esima posizione, ma il suo nome è già nella storia per essere stato il primo sciatore dell’Africa sub-sahariana ad aver partecipato alle olimpiadi invernali.
Guèye gareggia ancora ai giochi del ’92 e del ’94 e prima di ritirarsi dalle gare cerca di partecipare anche alle olimpiadi invernali di Salt Lake City, nel 2002, senza riuscirci. I giochi statunitensi di 18 anni fa, tuttavia, non verranno ricordati per questo. Il nome scivolato lentamente nelle pagine della storia è quello di Steven John Bradbury, pattinatore australiano di short track. Bradbury ha solo cinque medaglie nel suo medagliere personale, ma tra queste c’è anche il più improbabile oro del pattinaggio mondiale, conquistato proprio a Salt Lake City. Giunto terzo ai quarti di finale nei 1000 metri, Steven rientra in gara dopo la squalifica del favorito Marc Gagnon. In semifinale è dietro a tutti, ma la caduta di tre concorrenti e la squalifica di un quarto, lo portano dritto in finale. Nella gara che deciderà il podio, Steven è il più lento di tutti. All’ultima curva, però, quattro atleti cascano uno dopo l’altro, come birilli, e Steven John Bradbury, fino a quel momento saldamente all’ultimo posto, taglia il traguardo per primo, apparentemente senza il minimo sforzo.
In Australia, la vittoria di Bradbury verrà celebrata con un francobollo da 45 centesimi di dollaro e anche in quel quadratino dentellato, sul volto dell’atleta sembra esserci la stessa espressione di stupore di quel giorno. Chi non è mai finito su un francobollo celebrativo nel proprio paese, nonostante le sue molteplici imprese, è Luigi Amedeo Giuseppe Maria Ferdinando Francesco di Savoia. Ammiraglio, esploratore e alpinista italiano, è conosciuto anche per il suo titolo nobiliare, ben più corto del nome ed evidentemente più facile da ricordare: Duca degli Abruzzi. Nel 1899, a bordo della Stella Polare decide di raggiungere il Polo Nord, ma le rigide temperature che accolgono la spedizione mettono subito alla prova l’intero equipaggio, tanto che al Duca degli Abruzzi gli vengono amputate due falangi per congelamento. La spedizione non riuscirà mai a raggiungere il proprio obiettivo: si fermeranno a soli 381 chilometri dal Polo e ci vorranno mesi per percorrere i 1.400 chilometri del ritorno ad un porto sicuro.
Negli stessi giorni in cui la spedizione voluta da Luigi Amedeo di Savoia manca di poco il Polo Nord, nelle aule parlamentari di Montecitorio, la Camera dei deputati del Regno d’Italia mette agli atti l’unico progetto di legge presentato da Giantommaso Tozzi in cui figura come primo firmatario. Nato a Gessopalena nel 1848 ed eletto deputato della provincia di Chieti nel 1892, Tozzi rimane in Parlamento per soli otto anni. Il suo testo, che prevede il “Pareggiamento dello stipendio minimo legale delle maestre elementari a quello dei maestri”, però, non vedrà mai la conclusione dell’iter. A poco più di un mese dalla presentazione del progetto di legge, la ventesima legislatura del Regno d’Italia terminerà in modo inaspettato e con essa anche il tentativo di pareggiare gli stipendi. Chi non ha dimenticato Giantommaso Tozzi è Casoli, un piccolo paese di 5 mila anime, nel cuore dell’Abruzzo. Il suo nome, stampato a caratteri cubitali, lo si può ancora leggere in una scritta elettorale di fine ottocento sulle pareti di un vecchio palazzo del paese. Sebbene sia passato più di un secolo, quel muro sembra gridare ancora: “Evviva l’onorevole Tozzi!”.
Per lasciare un segno nella storia o per provare a cambiare qualcosa, non è sempre indispensabile vincere, raggiungere il Polo Nord o far pubblicare il proprio progetto in Gazzetta ufficiale. E anche quando tutto sembra dire che nella vita ci vuole fortuna, da sola, credetemi, non basta. Sono proprio le parole di Steven John Bradbury raccolte dopo aver vinto l’oro di Salt Lake City, nel 2002, ad avermi convinto: “Non ero certamente il più veloce – ha ammesso -, ma non ho preso la medaglia per il minuto e mezzo della gara (che ho effettivamente vinto). L’ho ottenuta dopo un decennio di duro lavoro”. Nessuno sa come andrà a finire una gara, un progetto o una spedizione nel momento esatto in cui si decide di partire. Ma una cosa è certa: se non lo fate, se non superate quel nastro di partenza che avete sotto gli occhi, non lo saprete mai.